venerdì 27 aprile 2007

tutti mafiosi

La pax della 'ndrangheta
soffoca Reggio Calabria
dal nostro inviato CURZIO MALTESE

REGGIO CALABRIA - Il lungomare di Reggio Calabria è per il viaggiatore uno dei luoghi più fiabeschi d'Europa, ma per i calabresi era soprattutto un simbolo, la speranza e oggi la nostalgia di un futuro possibile. L'aveva voluto Italo Falcomatà, l'amatissimo sindaco stroncato dalla leucemia nel 2001, protagonista della "primavera reggina", otto anni in cui il sogno di una Reggio liberata dal malaffare sembrava a portata di mano. Ed era invece un'altra Fata Morgana.

La giunta della restaurazione, guidata dal sindaco di An, Peppe Scopelliti, ha disseminato il "lungomare Falcomatà" di altri simboli. Per primo è sorto il monumento alla massoneria. Nella versione originale c'erano il compasso e il cappuccio, poi spariti "per le solite mene dell'opposizione". Ma così monco e allusivo, il monumento risulta ancor più massone. Cento metri a destra e cento a sinistra, nei punti di maggior passaggio cittadino, si levano due inni di pietra al neofascismo. Il monumento ai "caduti del 1970", i camerati del "boia chi molla" e l'anfiteatro dedicato al capo della rivolta, Ciccio Franco. E chi vuol capire, capisca.

Nella colossale sede della Regione, costata un po' meno di una piramide, il presidente Agazio Loiero promette: "Con i dodici miliardi di euro in arrivo dall'Europa, nei prossimi cinque anni possiamo cambiare faccia alla Calabria". Qualcuno potrebbe obiettare che, prima, bisognerebbe cambiare qualche faccia in Regione, con trenta consiglieri inquisiti su cinquanta.

Ma in Calabria le facce destinate a cambiare sono piuttosto altre, quelle degli onesti. I commercianti che si ribellano al pizzo e sono costretti alla vera latitanza, i talenti avviati all'emigrazione e i magistrati dotati di un eccesso d'iniziativa. L'ultimo è Luigi De Magistris, della procura di Catanzaro, titolare della mega inchiesta Poseidone sugli intrecci fra politica, massoneria e malavita, con un centinaio di nomi illustri nel registro degli indagati, dal segretario Udc Cesa all'ex presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti, al senatore Giancarlo Pittelli, entrambi di Forza Italia. Ha appena fatto condannare a sette anni per truffa il capogruppo regionale della Margherita, Enzo Sculco. Per queste ragioni, o se si preferisce crederlo "per vizio di forma", l'inchiesta gli è appena stata tolta. L'avessero fatto con la simpatica Vallettopoli potentina di Woodcock, sarebbe insorta la società tele-civile. Ma la Calabria, nel bene e nel male, non fa notizia. Il bavaglio alla magistratura è la regola.


Sei anni fa, il pool antimafia reggino di Salvatore Boemi, che aveva indagato su 64 cosche e portato a 400 ergastoli, fu smantellato pezzo per pezzo, con i magistrati distaccati sul "fronte della guerra al terrorismo islamico", e non uscì un articolo di giornale.
La minaccia di Al Qaeda, nelle strade di Reggio, non sembra così incombente. In compenso il controllo mafioso è più asfissiante che nella Palermo degli anni Ottanta. Non serve chiedere chi comanda in città. La mafia più ricca del mondo domina senza oppositori la regione più povera d'Europa. Si legge in "Fratelli di sangue", grande inchiesta sulla 'ndrangheta firmata dal magistrato Nicola Gratteri e dallo scrittore Antonio Nicaso: "Nel rapporto tra affiliati ai clan e popolazione, la densità criminale in Calabria è pari al 27 per cento, contro il 12 della Campania, il 10 della Sicilia, il 2 della Puglia". A Reggio Calabria siamo al 50 per cento, significa che una persona su due è coinvolta, a vario titolo, in attività criminali.

La 'ndrangheta era fino a quindici o vent'anni fa ancora una mafia rurale, specialista nei sequestri di persona. Oggi controlla 40 miliardi di euro all'anno, il 3,5 per cento del Pil italiano (Eurispes) e quasi tutta la cocaina d'Europa, possiede quartieri di città a Bruxelles e Toronto, a San Pietroburgo come ad Adelaide, da Reggio ad Aosta; siede nei consigli d'amministrazione d'innumerevoli multinazionali. Secondo la polizia tedesca, è il principale investitore italiano nella Borsa di Francoforte e controlla una quota rilevante del colosso energetico russo Gazprom. In una intercettazione del '96 uno dei Piromalli, i boss della piana di Gioia Tauro, confidava: "Abbiamo il passato, il presente
Sul futuro, con molto ottimismo, si può coltivare una pallida speranza, ma sul passato e ancora di più sul presente, non vi sono dubbi. Al colosso nero della 'ndrangheta lo Stato spara con fucilini giocattolo. L'antimafia di Reggio è un ufficio semi vuoto. In procura Salvatore Boemi, tornato da poco in fondo a sei anni di esilio, cerca di ricostruire brandelli di pool. In questura non hanno la benzina per le auto.

L'assassinio di Francesco Fortugno, il 16 ottobre 2005 davanti al seggio delle primarie di Locri, ha per un po' scosso il tradizionale menefreghismo nazionale nei confronti della tragedia calabrese. Ma sotto processo sono finiti soltanto un pugno di sicari.

Come si campa a 'Ndranghetopoli e dintorni? Bastano tre o quattro tappe di una giornata qualsiasi per afferrare il concetto. Il mafia tour può cominciare la mattina a Gioia Tauro con un piccolo esperimento. Sedetevi al tavolino dell'ottima gelateria in piazza e provate a vedere se in un paio d'ore, in una città col trenta per cento di disoccupati e il salario medio di 600 euro, passa qualcosa di più piccolo di una Mercedes. E' consigliabile anche un breve giro della "zona industriale" della piana, segnalata dai cartelli.
Capannoni industriali a perdita d'occhio, come nel laborioso Nord Est. Questi però sono vuoti, scatoloni d'aria. Le cosche hanno preso i fondi europei e sono sparite nel nulla. Nessuno indaga, nessuno ficca il naso.

A Reggio trascorro un pomeriggio a volantinare per "Libera", l'associazione antimafia di don Ciotti, con Mimmo Nasone, il responsabile locale. Sullo struscio di corso Garibaldi la gente ha di colpo fretta. Un centinaio di persone prendono il foglio senza guardare: "I veri mafiosi sono i politici, lo Stato", spiegano. Quattro o cinque giovani, perlopiù eleganti e quasi cortesi, lo dicono chiaro: "Io sono della 'ndrangheta". Uno prende il volantino ridendo e saluta: "Buon vespero, saggi compagni". La formula d'iniziazione degli affiliati. Una studentessa risponde malinconica: "Non è più un mio problema, io il mese prossimo me ne vado".

Non è giusto dire che i calabresi sono stati lasciati soli a combattere, ma a volte viene da pensare che sarebbe stato meglio. Gli aiuti di Stato hanno aiutato soltanto la 'ndrangheta. I due grandi poli industriali pubblici di Reggio sono serviti a consegnare la città in mano alle cosche, fino ad allora confinate nelle campagne e sull'Aspromonte. La prima fortuna del più potente boss del reggino, Natale Iamonte, si chiama Liquichimica. Il gigantesco impianto per produrre mangimi dai derivati del petrolio avrebbe dovuto creare decine di migliaia di posti lavoro ma ha prodotto soltanto, ricorda Giuseppe Bova, presidente diessino del consiglio regionale, "la più lunga cassa integrazione della Calabria, ventitrè anni". La fabbrica non ha aperto un solo giorno dal 1977 perché era costruita su terreno franoso, come per anni si è ostinato a segnalare il direttore del Genio Civile di Reggio, poi scomparso in uno strano incidente stradale. Di chi fossero i terreni non s'è mai capito ma nel frattempo Iamonte è passato da macellaio a miliardario. Lo stesso Iamonte ha controllato gli appalti delle Grandi Officine Riparazioni delle ferrovie di Stato, l'altra fabbrica di Reggio, al centro di un groviglio d'interessi che portò all'omicidio del parlamentare Ludovico Ligato, davanti alla sua villetta con vista mare.

Il terzo grande affare delle cosche avrebbe dovuto essere il mitico Ponte sullo Stretto, con i piloni ben piantati sulle proprietà della 'ndrangheta. Ma l'affare è saltato soprattutto per la fiera opposizione di un gruppo di reggini onesti, guidati dal professor Alessandro Bianchi, ora impegnato da ministro dei trasporti in altre due scommesse: "Usare i quattro miliardi risparmiati sul ponte per rendere civile i trasporti fra Salerno e Reggio e bonificare dalla criminalità il porto di Gioia Tauro, l'unica speranza della Calabria". Gioia è il secondo porto d'Italia dopo Genova, con la previsione di quadruplicare il traffico nel prossimo decennio. Ma gli investitori stranieri, giapponesi e cinesi in testa, vogliono garanzie nella lotta alla criminalità ed è paradossale che l'antimafia in Calabria riceva più impulsi da Tokyo e Pechino che da Roma.

Eppure perfino a Reggio la vita sa essere dolce. La città non è bella ma piacevole, calda e luminosa, pulita, aperta dal lungomare, con i pub brulicanti di movida notturna e le ragazze libere di girare da sole alle tre di notte. Il sindaco Scopelliti, ammiratore di Briatore, ha profuso risorse in eventi, feste, festival, passerelle di vipperia nazionale. Anche troppe. Come i 120 mila euro pagati a Lele Mora per far passeggiare sul corso della notte bianca Valeria Marini e il Costantino del Grande Fratello. Perfino un rispettabile fascistone come l'ex senatore Msi Renato Meduri, braccio destro di Ciccio Franco, con in casa la sabbia di El Alamein e i busti del Duce, finisce per rimpiangere il comunista Falcomatà "l'ultimo poeta della politica". Ma intanto ai reggini piace e lo sfidante di centrosinistra, il medico Lamberti Castronuovo, arranca nei sondaggi.

A Reggio regna una calma ai confini con la disperazione. In città non si spara un colpo dall'omicidio del magistrato Antonio Scopelliti nel '91, atto finale di una guerra di mafia con seicento morti, agguati in pieno centro con bazooka e kalashnikov. Nel 2006 non c'è stata una denuncia di "pizzo" e il telefono anti-usura tace da sempre. La pace mafiosa avvolge, rassicura, coccola il consenso. "La 'ndrangheta è la mafia perfetta" ammettono i magistrati a palazzo di giustizia. "Mantiene l'ordine, non fa morti e ha eliminato il concetto stesso di vittima. In nome di chi possiamo agire?".

Già, chi è la vittima. I tossici? Ma di coca non si muore come di eroina. In periferia ne trovi di ottima a dieci euro la bustina, il costo di una pizza e una birra, e i drogati sono clienti soddisfatti. Le vittime dell'usura? "Consideri che i tassi praticati sono inferiori a quelli bancari" mi avverte un maresciallo. Allora i commercianti strangolati dal pizzo? Tutti pagano, nessuno ammette. A notte fonda, nel locale ormai deserto, un ristoratore mi confida: "Sì, pago il pizzo. Pago anche le tasse, più o meno, e che cosa ricevo in cambio? Lo Stato non mi garantisce la sicurezza. I trasporti fanno schifo. Se si ammala mio figlio prendo l'aereo e vado a Bologna, perché all'ospedale l'altra volta mi sono dovuto portare lenzuola e medicinali. Poi pago il pizzo, certo, ma nel mio locale non entra un mendicante, la finanza non fa controlli e se mi rubano l'auto me la fanno ritrovare il giorno sotto casa. Per il servizio che offrono, non sono neppure cari.
L'alternativa? La fine di Masciari".

Pino Masciari, imprenditore edile di Vibo, anni fa ha denunciato il pizzo e fatto arrestare decine di malavitosi. Gli hanno fatto saltare la sede. Il resto lo hanno fatto le banche, con la revoca del credito: "cliente a rischio". E' fallito per ventimila euro, quando aveva cantieri per tre milioni. Ora vive al Nord senza scorta e senza soldi, tolti entrambi dal governo Berlusconi. Nella primavera scorsa è tornato a Vibo, da solo, per votare alle elezioni politiche. Ai cronisti allibiti ha detto: "Non mi possono fare nulla, mi hanno già ammazzato". Soltanto don Ciotti l'ha convinto a non tornare.

Luigi Ciotti a Reggio è di casa, festeggiato come un liberatore, ma non è il tipo da far sconti. Alla giornata della memoria di Polistena, il 20 marzo, ha esordito con durezza: "Il problema in Calabria non è la 'ndrangheta, non sono i politici. Il problema siamo noi". Noi società, civile o no, "rassegnata a chiedere per favore quanto ci spetta di diritto". La platea ha applaudito, una folla di migliaia di studenti da ogni parte d'Italia, Firenze e Torino, Palermo e Lecce. Da Reggio, quasi nessuno, Presidi e professori hanno declinato l'invito, qualcuno ha fatto sapere agli studenti che la presenza a Polistena avrebbe costituito "assenza ingiustificata". La 'ndrangheta, che controlla tutto, ora s'è messa in testa di controllare anche l'antimafia. Infiltra affiliati nelle associazioni, costituisce cooperative per farsi riassegnare i beni sequestrati.

"Il futuro di Reggio si gioca in pochi anni, tre o quattro al massimo" racconta il sociologo Tonino Perna. "O lo stato capisce che questa è la peggior emergenza mafiosa di sempre, oppure l'avranno vinta loro e anche gli ultimi calabresi disposti a lottare si rassegneranno o andranno via, com'è da secoli. Già oggi ogni volta che laureo uno studente con 110 e lode mi piange il cuore, perché so che gli sto consegnando un passaporto".

(25 aprile 2007)

Questo è l'articolo pubblicato da Curzio Maltese su Repubblica lo scorso 25 Aprile sul capoluogo calabrese. Vergognaa... solo questo vien da dire leggendolo.
Si sono di parte perchè sono calabrese e a Reggio Calabria ci ho vissuto per 21 anni, anch'io faccio aprte della schiera dei giovani col passaporto, come dice Tonino Perna, che ha lasciato la sua città per studiare fuori. Ma non è per sfuggire alla mafia che me ne sono andata ma semplicemente perchè la mia città mi stava stretta, come qualsiasi altra cittadina, che sia in Calabria o in Valle d'Aosta, come accade a milioni di giovani che lasciano la provincia per la grande città.
Mi domando dove sia davvero andato l'illustre inviato di Repubblica e chi sono quei giovani che hanno risposto alle sue domande presentandosi come membri della 'ndrangheta.
La città che dipinge Maltese non è la mia: i reggini non sono tutti mafiosi , nè tutti fascisti, nè tantomeno rassegnati ai clichè che gli vengono attribuiti. Reggio è una città che sta crescendo e che deve affrontare tanti problemi e superare le contaddizioni che si porta dietro nella sua storia ma non sono certo articoli come questi che aiutano ad andare avanti. I giornalisti non si accorgono del potere che hanno e dovrebbero stare attenti prima di alimentare una legenda e creare dei mostri, soprattutto in un territorio che sta puntando tanto sul turismo e per cui la cattiva pubblicità sarebbe fatale.
Senza contare che l'attacco di Maltese al sindaco Scopelliti in piena campagna elettorale sembra avere più un valore politico e dettato da un parere personale che oggettivo, mirato a fare un reportage sulla città.
Con questo non mi nascondo dietro ad un dito dimenticando quelle che sono le vere problematiche della città e della regione in generale ma non capisco perchè se viene indagato un componente della giunta calabrese allora per la proprietà transitiva vengono imputati tutti i calabresi, ma se lo stesso accade a Roma o Milano,l'accusato è solo una mela marcia in un panorama limpido e corretto.
Non sembra che il giornalista sia davvero venuto a Reggio per scrivere il suo articolo ma che l'abbia fatto dal desktop di casa sua ragionando per luoghi comuni e riportando una mentalità antica e degli stereotipi che sembravano superati. Su questo la Calabria stava lavorando per levarsi di dosso i pregiudizi di chi spesso neanche conosce la realtà, sembrava che ci stesse riuscendo ma poi episodi come questi fanno capire che la strada è ancora lunga.
Non sarà il ponte a far diminuire i nostri problemi e la lotta alla mafia non deve certo partire da Tokyo, il nostro futuro non si gioca in tre o quattro anni perchè questo è il nostro futuro, oggi i calabresi lo stanno costruendo conl'orgoglio è la convinzione di chi può contare solo su se stesso.
Per me la delusione è doppia, da reggina e da studentessa di comunicazione col sogno di fare le giornalista...

giovedì 8 marzo 2007

inchiesta affitti 2 (la vendetta)

Ricordate la cara vecchia inchiesta sugli affitti per gli studenti di roma realizzata per il prof Liguori da me ed angela? Ecco l'abbiamo approfondita su carta... se a qualcuno interessa, eccola qui:

Un’inchiesta sul caro affitti nella capitale alla ricerca della soluzione più conveniente
FUORISEDE A ROMA? CORAGGIO NON E’ FACILE PER NESSUNO
La capitale risulta essere la più cara tra le città universitarie con un rapporto qualità - prezzo tra i più bassi d’Italia

Due parole prima di iniziare
Questo lavoro sul caro affitti per gli studenti di Roma nasce dall’esperienza personale di chi trasferendosi da un’altra città si è cimentato nell’avventura di cercare casa vagliando tutte le opportunità possibili.
Abbiamo sentito varie testimonianze di tanta gente che si è trovata nella nostra stessa situazione, abbiamo fatto alcune ricerche cercando anche di sentire una voce più istituzionale come il sindacato degli affitti rendendoci conto che la situazione non è delle migliori.
Studiare e’ ancora un diritto?
Diritto allo studio? Solo uno studente che si accinge a spostarsi un in un’altra città per studiare sa a cosa va incontro. Case fatiscenti affittate anche a 6 studenti alla volta dai prezzi improponibili, annunci discriminatori, contratti inesistenti che non consentono agli studenti di poter concorrere per una borsa di studio per studenti fuori sede. Sono circa quattrocentomila gli studenti che decidono di proseguire gli studi universitari lontani da casa; le mete più ambite rimangono le classiche grandi città come Roma , Milano, Napoli e Bologna ma negli ultimi anni si è registrato un cambiamento di rotta verso città più piccole e a misura di studente come Padova, Siena e Catania.
La motivazione va sicuramente ricondotta anche ai prezzi degli appartamenti ed al costo della vita nelle grandi città che è diventato davvero proibitivo.
Secondo il Sunia, il sindacato degli inquilini, gli affitti nell’ultimo anno sono aumenti dell' 8,7 %, oltre quattro volte il tasso di inflazione che nel 2006 si è attestata ad una media del 2,1%, il che rende l’affitto un lusso che i redditi più bassi non possono più permettersi.
Prima in questa classifica nera per le grandi aree metropolitane è Roma, dove i canoni sono aumentati di ben il 12%, dopo viene Milano con un incremento dell'11%, seguita da Venezia e Firenze con il 10%. Gli aumenti più contenuti sono stati registrati a Torino con il 6,5% e a Bari e Catania, con il 6%. Per un alloggio medio di 80 mq quindi il costo dell'affitto passa dai 502 euro nella periferia di Bari ai 2000 nel centro di Milano. Ad un livello intermedio si collocano i rincari di Bologna, Napoli, Genova e Palermo.
Con queste cifre parlare di diritto allo studio sembra davvero una barzelletta.

Cercare casa nella giungla dell’immobile

La prima cosa da fare per uno studente o chi che sia che si trasferisce in una nuova città è quella di cercare un posto dove vivere. La prima soluzione auspicabile sarebbe di cercare una casa in affitto da dividere con altre persone; lo si può fare attraverso il passaparola, internet, le bacheche dell’università ed il caro vecchio “portaportese” che raccoglie annunci di tutti i tipi.
Il problema è che il più delle volte ciò che si trova è molto diverso da quello che si cerca. “Ho visto alcune case davvero squallide – racconta Agnese, studentessa di Bari a Roma da due anni – senza balconi, con cucine piccolissime e un solo bagno per cinque o sei persone” .“Senza contare - prosegue Francesca l’amica siciliana che è con lei – il problema delle distanze perché a Roma non si può certo sottovalutare il problema della zona dove si va ad abitare che se è troppo distante dai posti da frequentare diventa davvero uno stress spostarsi”.
I prezzi variano dai trecentocinquanta ai cinquecento euro per una stanza singola ma si può pagare anche di più se la casa è in centro.
L’altra irregolarità tipica degli affitti per gli studenti è la mancanza di contratti con un reale valore legale.
Sono Centoquarantaquattro i milioni di euro versati nelle casse di padroni di casa privati. Incassi record per i padroni di casa che, secondo quanto dichiarato dagli studenti, nel 41% dei casi non pagano un solo centesimo di tasse perché non rilasciano il contratto. La modalità contrattuale più diffusa (dopo quella in nero, ovviamente) è quella del concordato secondo la legge 431/98 (27,53%) che comunque fornisce ai padroni di casa non poche agevolazioni fiscali.
Emblematica a riguardo è la testimonianza di Alessandra: “Un paio d’anni fa ho preso in affitto una stanza in un appartamento vicino a via tuscolana casa molto spaziosa non nuovissima ma tenuta bene. Tutto proseguiva bene sia con le mie coinquiline che con il proprietario fin quando quest’ultimo ha deciso che quando doveva venire a Roma una di noi doveva cedergli la stanza e dividere la stanza con una delle coinquiline…la stanza ambita dal proprietario era la mia perché il letto era matrimoniale; premettendo che quando lui aveva comprato i mobili io gli avevo chiesto un letto in più per ospitare i nostri genitori o magari qualche amico essendo tutte studentesse fuorisede…mi ha detto che per lui andava bene però, me lo dovevo pagare io quindi, gli ho dato i soldi della differenza di prezzo tra un letto singolo e il matrimoniale!!! Da quel momento sono iniziate le liti e le incursioni improvvise! Ovviamente sia a me che alle mie coinquiline non andava di avere lui e la sua famiglia in giro per casa dopo che pagavamo 350 euro di affitto per camera più le spese condominiali e le utenze, e non avevamo neanche un contratto d’affitto!!!! Ci sono volute le chiamate dei miei genitori e dei genitori delle altre per calmarlo e fargli capire che la sua era una pretesa assurda. Era tutta un’illusione! Prima delle vacanze estive il proprietario è venuto a trovarci con la moglie e si è dimostrato molto gentile e ha detto diplomaticamente che se noi non accettavamo la sua condizione, una pretesa assurda per me, potevamo cercarci un’altra sistemazione !!! Bene armata di buona volontà sono andata da una mia amica avvocato e abbiamo scritto una lettera dove essenzialmente c’era scritto che non ci poteva cacciare via visto che non avevamo un contratto! Lui di tutta risposta ha mandato una lettera del suo legale che ci invitava a lasciare l’appartamento a fine contratto (quale non si sa !!??? Visto che non avevo firmato nulla!) In base a quale articolo del codice civile o legge vorrei ancora capirlo… Finite le vacanze estive è iniziato l’inferno vero è proprio… lui è venuto a casa e ci ha minacciato verbalmente, ha alzato la voce e ha iniziato a parlare male dei nostri genitori. A questo punto la situazione era diventata veramente insostenibile: chiamate al telefono, minacce, le solite sue incursioni senza preavviso, eravamo persino controllate in ogni nostro movimento dal portiere del palazzo che riferiva tutto al proprietario di casa… siccome per studiare si ha bisogno di un minimo di tranquillità e soprattutto è grave quando non ti senti al sicuro a casa tua e non sai al sicuro le tue cose io e le altre ragazze abbiamo deciso di lasciare la casa. A me non andava che la storia finisse così insieme ad una delle ragazze siamo state dalla polizia per chiedere informazioni e se era il caso di denunciarlo… sono uscita dal commissariato di polizia allibita, ho trovato un ispettore di polizia che ha tempo perso faceva l’agente immobiliare e mi ha fatto discorsi assurdi sul mercato degli affitti romano e mi ha detto che era dispiaciuto per quello che mi era successo ma mi sconsigliava di andare avanti con una denuncia perché testuali parole: “Signorina ma sa in Italia come vanno queste cose… sono storie che non hanno fine!”. Non ero ancora soddisfatta e sempre con la mia coinquilina sono stata dalla guardia di finanza e siamo state ricevute da un capitano competente che ci ha spiegato quello che dovevamo fare se volevamo procedere legalmente e quando gli raccontavamo la storia lui stesso stentava a crederci… A distanza di anni avremmo potuto ottenere un risarcimento economico per quello che avevamo sopportato, e quasi sicuramente avremmo dovuto pagare anche noi inquiline una multa perché comunque avevamo preso in affitto un immobile senza seguire le vie canoniche di un contratto regolare, ma non era questo il problema, eravamo stanche !!! Stanche di essere prese in giro, stanche di essere trattate come pezze da piedi... Per concludere vorrei puntualizzare due cose la prima è che le mensilità da parte mia e delle mie coinquiline sono state sempre pagate con regolarità (anche quando ci minacciava!) tramite bonifico bancario; la seconda è che mai non abbiamo firmato un contratto perché il proprietario di casa ha detto che essendo lui un medico avrebbe dovuto pagare troppe tasse se aggiungeva un’altra rendita registrata però, aveva proposto una scrittura privata che non abbiamo firmato perché non ci convinceva, sono sicura che a questo punto qualcuno mi obietterà che non avrei dovuto prendere in affitto la casa senza un regolare contratto, ma a Roma praticamente nessuno affitta a studenti con un contratto regolare… noi studenti dovremmo pur stare da qualche parte!!!”.

E se lo Stato ci desse una mano?

Un’altra soluzione che il povero studente fuorisede potrebbe tenere in considerazione è quella di fare domanda per una borsa di studio e richiedere un alloggio in nome del caro buon “diritto allo studio” ma anche questa situazione non è tra le più facili. Per i quasi 400.000 studenti fuori sede italiani (stima Anci 2004) ci sono poco più di 50.000 posti totali in residenze universitarie, vale a dire 1 letto ogni 8 persone. Il problema più grave non risiede nella mancanza dei posti letto ma nell’illegalità all’interno degli studentati.
Il più delle volte le strutture ospitano persone che non hanno niente a che fare con la condizione di studente universitario o che hanno presentato certificazioni fasulle sulle proprio condizioni economiche e patrimoniali false, togliendo così la possibilità a chi ne avrebbe davvero diritto. L’esempio lampante è la residenza della Sapienza: Casalbertone in cui regnano anarchia ed ingiustizie.
“Qui le magagne sono tante e l'Adisu non controlla. – dice Mirko, intervistato da Sudenti.it riguardo la situazione dello studentato - Sono tanti gli stranieri che vivono in stanze che sulla carta non sono loro assegnate. Ad esempio di fianco a me dovrebbe viverci un tale Antonio Cassano, mentre invece vive un ragazzo albanese. In pratica quando si assegnano le stanze si sceglie un cognome fittizio e inesistente per poi fare entrare a vivere qualcun altro. Qui dentro nessuno è pulito al 100%. Molti studenti ospitano abusivamente degli amici per periodi anche di 6 mesi, un anno. Io personalmente non mi sento di condannarli: fino a giugno ho ospitato un mio amico che faceva uno stage non retribuito e non poteva permettersi un affitto. L'ho fatto con piacere e soprattutto non ho tolto il posto a nessuno.”
Senza contare il problema del subaffitto come testimoniato nello stesso articolo: “Conosco uno che si è laureato nel maggio scorso ed ha fatto pure la festa qui dentro e nonostante questo continua a vivere qua, senza pagare la retta e senza che nessuno gli venga a dire nulla. Spesso mi capita di pensare che se invece di essere stata una delle ultime nella graduatoria degli assegnatari, fossi stata esclusa, sarebbe stata anche colpa di quell'abusivo. C'è gente che per una stanza sborsa 350 euro che vanno tutte nelle tasche di studenti che per l'Adisu sono “meno abbienti” e (quindi giustamente assegnatari di alloggio), mentre invece potrebbero benissimo permettersi una stanza privata, anche senza il subaffitto.”
Anche la Lumsa pur essendo un ‘ università privata ha uno studentato per i suoi studenti o meglio per le sue studentesse visto che è solo femminile. “ I posti sono solo ventitre – spiega Riccardo Rosa membro della Commissione Diritto allo Studio e Presidente del Consiglio degli Studenti- non ci sono camere singole ma solo doppie o triple ma è sempre comunque una buona opportunità che l’università offre. Ci si sta impegnando per creare una residenza anche maschile nonostante il più delle volte i ragazzi non siano interessati a questo tipo di soluzioni”.

Vivere in istituto

Un altro tipo di soluzione che a Roma molto diffusa è quella di alloggiare in uno dei numerosi istituti religiosi presenti sul territorio.
Per certi versi è una situazione piuttosto comoda perché sono quasi sempre collocati in zone abbastanza centrali della città e si trova quasi sempre posto.
Ciò che stupisce sono i prezzi che variano dai duecentocinquanta ai cinquecento euro per una camera singola in cui il più delle volte non sono compresi né i pasti, né il riscaldamento.
Angela è una studentessa di lingue del primo anno, viene da Campobasso e sta in un istituto in via delle Botteghe Oscure non per scelta sua ma per volere dei suoi genitori che così “si sentono più tranquilli” – rivela. “Stare in istituto ha i suoi vantaggi – spiega – perché non ti senti mai sola in quanto c’è sempre gente che va e che viene, l’unico problema sono gli orari che naturalmente non permettono troppa libertà”.

Chi tutela gli studenti?
“Di fatto nessuno – ci risponde Emiliano Guarneri, responsabile del Sunia di via Galilei - perché non ci sono forme contrattuali speciali applicabili agli studenti fuorisede ed è sicuramente vero che oggi sono la fascia meno tutelata al pari degli anziani e degli immigrati”.
“Le istituzioni si stanno muovendo in questo senso – assicura il dott. Guarneri – infatti il Sunia ha chiesto al Comune di Roma di mettere a disposizione un centinaio di alloggi per gli studenti che decidano di denunciare le situazione disagiate e al limite della legalità in cui vivono. Naturalmente perché questo avvenga è necessario che sia garantita loro un’altra sistemazione. Solo una cultura della denuncia delle illegalità può arginare il fenomeno degli affitti in nero e tentare di migliorare in qualche modo la situazione.”

Tiriamo le somme
Il nostro viaggio nell’intricato mondo fittizio degli affitti della capitale è terminato nella sede del Sunia con la speranza che le cose possano cambiare e il diritto allo studio diventi davvero tale e non la possibilità elitaria che solo alcuni si possono permettere.
Scegliere Roma per proseguire gli studi vuol dire investire sul proprio futuro nella speranza che una grande città offra maggiori possibilità e un paese democratico come il nostro dovrebbe garantire a tutti questo diritto non approfittando di quella che il più delle volte è un’esigenza piuttosto che una scelta.

Chiara Del Priore
Giuditta Mosca
Simona Volpe


Fonti
• www.quitalia.it
• www.repubblica.it
• www.studenti.it
• www.cattolicaeracleaonline.it

lunedì 26 febbraio 2007





Queste sono le immagini della spettacolare tromba d'aria che si è formata sullo stretto di messina nella giornata di oggi per poi dissolversi nella zona nord del capoluogo calabrese.

La Calabria di Oliviero Toscani

La nuova immagine che la Regione Calabria vuole dare di séP ha i volti di un gruppo di liceali protagonisti di duemilacinquecento cartelloni pubblicitari che verranno affissi in tutta Italia e pubblicati sui maggiori quotidiani del paese nei prossimi giorni.
La campagna pubblicitaria, fortemente voluta dal Presidente della Regione Agazio Loiero, è griffata da Oliviero Toscani e dal suo team, che anche in questa occasione non hanno risparmiato le provocazione con uno slogan che tuona: "Malavitosi? Inaffidabili?Si, siamo calabresi!".
Prevedibili le polemiche a riguardo: da una parte per la scelta dei protagonisti che, a detta di alcuni, non danno un'immagine facilmente riconducibile alla Calabria, dall'altra per i costi elevati della campagna.
Ma qual è l'immagine che i calabresi hanno nel resto nel mondo? Forse quella del losco individuo con baffetti e coppola seduto sul ciglio di qualche strada di paese? O forse qualche ragazzetta in carne vestita in abiti tipici che balla una tarantella?
La Calabria non è solo quella dell’omicidio Fortugno o degli scandali sanitari, né quella dei latitanti nascosti per anni dall’omertà della gente o della disoccupazione e l’arretratezza. La Calabria non è neanche solo spiagge bianche e mare limpido, né peperoncino e bergamotti e forse proprio i ragazzi della pubblicità di Toscani possono cambiare anni di stereotipi e pregiudizi che non hanno fatto altro che alimentare i problemi e le controversi di una regione già di per sé complicata.
Un’immagine fresca e pulita, una sorta di citazione dei ragazzi della locride e del loro urlo “adesso ammazzateci tutti”, una campagna proiettata al futuro ma che afferma con vigore l’orgoglio di essere calabresi.

giovedì 15 febbraio 2007

e se il dottore fosse in tv?

E' di oggi la notizia del Tg5 della sperimentazione in un noto ospedale torinese del "telemedico" che cura il paziente a casa attraverso lo schermo di un pc. Che qualcosa del genere potesse esistere lo sapevo già proprio studiando il libro "La giostra multimediale" per l'esame di editoria multimediale ma dopo aver visto il servizio del giornalista di Mediaset in cui il dottore parlava con la paziente malata di cancro per telefono e guardandola dallo schermo di un pc, mi sono posta due domande tra il serio ed il faceto:
1) Trovare un medico che ti presti attenzione è già difficile per telefono, sei fortunato se ti risponde al cellulare, immaginiamo quanto sarà facile avere un dottore disponibile per un videoconsulto;
2) Non che io non nutra particolare stima nella categoria, ma ad un qualsiasi medico, anche al migliore, può capitare abbastanza spesso di sbagliare una diagnosi visitando il paziente di persona, quali garanzia ci sono dopo un controllo on line?
A parte il sarcasmo ed il mio disfattismo, credo di rappresentare l'atteggiamento dell'italiano medio di fronte alle nuove tecnologie: diffidenza all'inizio e poi in alcuni casi voglia irrefrenabile di avere l'ultimo gingillo della tecnologia.
Comunque mi sono informata, in rete naturalmente, sulla "telemedicina" e dunque:" Si tratta sostanzialmente della trasmissione in tempo reale di informazioni a carattere scientifico tra medico e cittadino o tra addetti ai lavori, attraverso sistemi di comunicazione di tipo telematico/informatico"- si legge sul sito del Ministero della Salute, e fin qui c'ero arrivata, proseguiamo "Secondo la Commissione Europea, organizzatrice tra l’altro dell’EHTO (European Health Telematics Observatory – Osservatorio delle applicazioni mediche della telematica), la telemedicina è “l’integrazione, monitoraggio e gestione dei pazienti, nonché l’educazione dei pazienti e del personale, usando sistemi che consentano un pronto accesso alla consulenza di esperti ed alle informazioni del paziente, indipendentemente da dove il paziente o le informazioni risiedano”. Mi sorge un dubbio: in che senso educare i pazienti? Come può farlo un sistema elettronico? Però c'è una cosa positiva, non solo una sia chiaro:la telemedicina da al paziente la possibilità di una consulenza di esperti a prescindere da dove ci si trovi.Questo è un gran ventaggio, qualcosa di veramente democratico che eliminerebbe le differenze tra sanità si serie A ,in certe zone e sanità di serie B, in altre.
"Applicare la telematica in ambito medico significarispondere con tempestività alle esigenze diagnostiche (telediagnosi) e terapeutiche (teleassistenza) di cittadini distanti dalle strutture sanitarie o comunque impossibilitati a muoversi da casa; fornire una risposta valida ed efficace in caso di malati cronici o anziani e un supporto indispensabile nelle urgenze (telesoccorso); favorire l’aggiornamento scientifico (teledidattica) e il collegamento interattivo tra medici (videoteleconsulto) con condivisione dinamica di informazioni, cartelle cliniche digitali, tracciati diagnostici, immagini biomediche, che si “muovono” in tempo reale e con la massima definizione"- si legge ancora su www.ministerodellasalute.it ma io ancora non sono convinta nonostante riconosca il grande potenziale che la telemedicina porta con sè.
Insomma il fattore umano dov'é?
Molto spesso a parte la diagnosi e la terapia quello di cui la gente ha bisogno è di sentirsi ascoltata e "coccolata" dal proprio medico, alle volte per un anziano il dottore è l'unica persona con cui fare quattro chiacchiere e un modo per non sentirsi trascurati; così come un malato grave ha molto più bisogno di una parola di conforto e di calore umano piuttosto che paroloni specifici e consulti incomprensibili.
Sono anacronistica? Forse, ma io di un medico che non mi vede in faccia, non mi sente i polmoni e mi tocca la fronte non mi fiderei più di tanto.
E poi visti gli ultimi scandali della sanità italiana forse sarebbe meglio concentrarsi su qualcosa di più concreto piuttosto che verso la telemedicina. Gli italiani non sono pronti a questa rivoluzione o sono io che non ho capito niente?

mercoledì 24 gennaio 2007

gli esami non finiscono mai

In effetti il titolo di questo post non è corretto considerando che io ancora non ho neanche iniziato a fare esami e, se Dio vorrà, solo domani mattina col caro prof. Pendinelli rinuncerò al mio stato di matricola!
Naturalmente come ogni giorno pre esami che si rispetti sono presa dall'ansia, anzi stavolta forse un pò di più perchè è il mio "primo" esame, il primo segno tracciato sul mio libretto nuovo, il primo gradino di questo percorso iniziato qualche mese fa.
Sinceramente non pensavo che tutto mi risultasse così difficile: insomma studiare per me non è mai stato un problema, anzi è sempre stato qualcosa che mi appagava e mi faceva stare in pace con me stessa ma dopo la laurea ho del tutto perso il ritmo, la costanza e sopratutto la voglia...
Come mi ha detto qualcuno "sta laurea mi ha proprio distrutto i neuroni" ma spero di svegliarmi presto da questo torpore e trovare nuovi stimoli e qualche certezza in più. Il problema è proprio questo, credo, finiti i tre anni è come se avessi messo un punto: era un obiettivo che mi sono prefissata e con tanti sacrifici l'ho raggiunto ed ora mi sento come se non fossero valsi a nulla e dovessi iniziare tutto da capo.
I cambiamenti non mi hanno mai fatto paura,anzi sono sempre stati un incentivo e mi attiravano con un pò d'incoscienza. Forse sto davvero diventando vecchia... E' che alle volte mi chiedo: ma chi me lo fa fare?ho preso la decisone giusta e soprattutto perchè ho questo maledettissimo carattere per cui niente mi basta per troppo tempo e ho sempre bisogno di andare alla ricerca di altro?
L'unica risposta che so darmi è che tutte le mie decisioni e i percorsi che sto percorrendo sono per inseguire un sogno, il mio, quello che come un tarlo mi pulsa nella testa da quando ero piccolina,quello per cui le mie amiche mi prendono affettuosamente in giro, quello per cui nel mio futuro non riesco a vedere altro se non una strada. Passione,questa è la chiave (e dire che mi rimprverano che sono troppo fredda alle volte!)
Perdonate lo sfogo, che probabilmente non ha neanche molto senso, ne è nella sede giusta ma mi andava di farlo, così per sfogare un pò di tensione e non pensare per una mezzoretta all'esame di domani!

venerdì 12 gennaio 2007

è andata!

L'obiettivo che mi ero prefissata all'inizio del corso è stato raggiunto e nonostante le mille difficoltà incontrate, un pò per incompetenza ed un pò anche per sfortuna, sono finalmente riuscita a caricare il video dell'inchiesta su sabatononsidorme.
sicuramente è stata una bella esperienza per quello che mi ha insegnato sia a livello teorico che pratico e mi sono resa conto quanto conti la dimestichezza con le nuove tecnologie per chi si vuole occupare di informazione.
Credo che in una società in cui in molti vogliono fare i "comunicatori" ciò che fa la differenza è il mezzo e l'uso che se fa.Aveva ragione il caro vecchio McLuhan che aveva sucuramente anticipato i tempi.
Nonostante tutte le riserve che nutro verso i new media mi rendo conto dell'importanza di riuscire ad usare il mezzo a proprio uso e consumo.
Mi spiego meglio: partendo dal classico modello postale della comunicazione tra mittente e destinatario per la ricezione del messaggio si pongono il canale ed il codice ed oggi abbiamo una pluralità di codici e canali che portano con sè un potenziale di democrazia altissimo. La questione è che è una democrazia solo potenziale finchè non si ha una padronanza completa del mezzo. Questo è il nocciolo del problema:volevo dire tante cose con quest'inchiesta ma il mezzo mi costringeva a fare una cernita e non sempre, proprio a causa della poca dimestichezza col montaggio ad esempio, sono riuscita a centrare il bersaglio.
In ogni caso,per quanto volessi fare di meglio, è andata!